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STORIA E BENEFICI DELL'EQUITAZIONE RIABILITATIVA

La scoperta degli effetti terapeutici della equitazione risale ai tempi di Ippocrate. L’interesse per questo tipo di rapporto uomo-cavallo si sviluppò soprattutto nel primo dopoguerra, quando due preoccupanti epidemie di poliomielite, fu ufficialmente introdotta in Scandinavia la terapia equestre. Un caso che fece particolarmente apprezzare questo metodo curativo fu quello di Liz Hartel a Copenaghen: colpita in giovane età da una grave forma di poliomielite, la ragazza vinse la medaglia d’argento di dressage (disciplina di movimenti figurati del cavallo) alle olimpiadi Hensilki. La rieducazione equestre basa le sue applicazioni sul rapporto ideale fra uomo e animale.

 

La equitazione terapeutica riabilitativa si è diffusa soprattutto come pratica ausiliaria affiancata alla più tradizionale fisioterapia, nel caso di portatori di handicap motori, l’utente viene posto in sella al cavallo che viene condotto al passo, ad un’andatura che costringe l’utente ad utilizzare quei muscoli che normalmente sono poco esercitati, mentre i sussulti ritmici impressi al bacino provocano il coinvolgimento di entrambe le metà del corpo. Le ricerche hanno dimostrato che i benefici sono dovuti ai movimenti del cavallo che stimolano i centri di equilibrio del cavaliere rinforzando i muscoli del tronco, dell’addome e adducendo l’utente a mantenere la testa eretta. Inoltre il massaggio provocato dalla sella favorisce la circolazione periferica e il rilassamento dei muscoli contratti.

 

I vantaggi riguardano quindi l’equilibrio, la coordinazione motoria, il rilassamento dei muscoli spastici, la maggior prontezza dei riflessi ma anche l’aumentata fiducia dell’utente nelle proprie capacità di ricupero. Durante la cavalcata il cervello è continuamente attivato da stimoli al sistema nervoso centrale; questa condizione è particolarmente positiva negli utenti affetti da problemi psico-comportamentali, costretti ad adeguare il comportamento in sella ai movimenti dell’animale con un utile stimolo alla funzione mnemonica di solito poco esercitata in questi soggetti. Lo stesso rapporto materiale con l’animale rappresenta un aspetto positivo dei soggetti autistici che attraverso il cavallo entrano in contatto concretamente con il mondo esterno. Il cavallo assume il ruolo di terapeuta, sente l’utente, lo aiuta e lo stimola nella ricerca dell’equilibrio e dei movimenti, ed è effettivamente, insieme agli assistenti che accompagnano la cavalcata, non solo il medico-amico ma anche un ideale compagno di giochi.